Basta questa è l’ultima sigaretta!
Spengo il mozzicone di quest’ultima schifosa sigaretta,
schiacciandola sotto il tacco come se dovessi uccidere uno scarafaggio.
U.S. Come scriveva sui muri Italo Svevo.
Questa è l’ultima sigaretta, giuro, l’ultima.
Chissà perché mi sono iscritta al corso del
Sert.
Forse
è stato per mio figlio,
che appena vede i pacchetti di sigarette in casa me li butta e visto che, da
vera tossica, li
recupero dalla spazzatura, ora mi
distrugge le sigarette una ad una tra
le sue manine.
O
forse è stato per quello stronzo di mio marito,
che si pavoneggia per casa altamente superiore, perché lui ha smesso, e
io no.
Potrei denunciarlo per violenza
psicologica, ma lasciamo stare.
Sto cominciando a pensare che io
mi sia iscritta al corso del Sert solo per
farli tacere. Certo, mica pensavo che mi avrebbero dato subito un appuntamento.
Che mi prendevano sul serio.
Poi,
una volta che rispondi a quella telefonata, non puoi più tornare indietro. Non subito almeno.
Incontri
di gruppo due volte alla settimana, in pausa pranzo, per due ore di fila. E poi: medico, psicologo,
educatore.
Da quando vado al Sert per il corso antifumo mi
sento così “utente” che tutte le volte che esco da quella saletta mi viene come da accendermi una canna.
Con
me al corso c’è un tizio che ha avuto
un infarto, un cardiopatico, due signori
con focolai
nei polmoni, una a rischio trombosi. Cose così.
Io
sono l’unica sana, almeno dal punto di
vista fisico.
Il
mio sangue ha
addirittura il 98% di ossigenazione, così diceva la prova del respiro a cui mi
avevano sottoposto i medici prima che iniziasse il corso. Forse anche loro si
sono chiesti perché dovevo smettere di fumare. Secondo me se lo sono chiesto
anche gli altri partecipanti al corso.
Così
sono cominciate le due settimane preparatorie all’astensione totale da fumo. Gli
operatori sono bravi, ti accompagnano gradualmente verso la crisi d’astinenza.
Il rituale del pacchetto di sigarette impacchettato, il diario da tenere ogni
sigaretta che si fuma, il numero massimo di sigarette che si possono fumare,
che calano, che calano, calano fino a diventare 3, le fondamentali, per poi
toglierti anche quelle.
Fine.
Oggi sono cominciate le 24 ore di
astensione totale dal
fumo. U.S. quella che ho appena
spento
stamattina presto, sotto la pioggia, prima di accompagnare Blessing
in ospedale.
Già, qualche sera dopo
il nostro colloquio era stata male, là nel british hotel sulle rive del Po. Pearls to pigs si chiama l’agriturismo in cui è collocata in emergenza.
Forse le avevano dato da bere troppo tè, che con la nebbia non si appaia. O
forse troppo del loro caffè innominabile. Comunque non aveva mangiato. In
compenso aveva fatto
di quelle urla che aveva stecchito pure le nutrie e le pantegane, bucoliche of
course, che circolavano fuori.
Avrei pagato per
vedere la faccia della coppietta inglese che gestiva l’hotel.
Mi
assaporo l'ultima sigaretta sotto la pioggia,
intirizzita dal freddo, che manco ho
fatto colazione.
U.S.
Il
gusto che mi rimane
in bocca è come quello di
una fogna.
Ho fatto bene a smettere di fumare, penso soddisfatta
mentre guido verso il bucolico agriturismo.
POT POOOOOOT
Suono il clacson da vera villana, ma tanto sono inglesi e
lo prenderanno come un’ulteriore e colorita usanza italiana. Ma non ho voglia
di fermarmi, salutare cordiale, sforzarmi di parlare inglese, casomai sorbirmi
una sbicchierata di quel caffè tremendo, very
british. Non ce la farei a sopportare
i loro sorrisi tirati dopo la scenata molto nigerian
style della sera prima. Il duo, infatti, doveva avere nasato
qualcosa della situazione, anche se non capivano un cazzo di italiano.
Carico Blessing in auto, non spengo neanche il motore per farla salire, del
resto i gestori dell’albergo l’hanno gentilmente accompagnata in cortile. Dalle
facce sconvolte, sicuramente avranno passato la notte in bianco.
Fa sì sì con la
testa.
- Non avevi poi niente ieri sera. Ti ricordi il dottore che è venuto
stanotte, perché stavi male e urlavi?
- Sì sì, io stare male!
- Sì ma non avevi niente. Quel dottore che hanno chiamato i signori
dell’albergo si chiama “guardia medica”. Ha detto che hai preso freddo, o hai
mangiato qualcosa che ti ha fatto male e hai vomitato.
O forse era un potentissimo virus gastrointestinale, il ceppo africano, ancora sconosciuto.
Che mi starò
beccando anche io, chiusa in questa
macchinina minuscola con Blessing e i suoi bacilli.
Apro tutti i finestrini perché già mi sento una lieve nausea.
Ad ogni modo, visto che si sta andando in ospedale, armati
del tesserino sanitario nuovo di zecca,
ci facciamo anche una visitina ginecologica
di controllo. Magari approfittando dello status di STP: stranieri
temporaneamente presenti e, in culo ai leghisti, facciamo anche che le si
prescrivano tutti gli esami sanitari possibili!
- Hai capito
bene la visita che andremo a fare oggi?
Fa sì sì con la
testa.
Becco un
contromano con leggerezza. Ma come? Avranno cambiato il senso di marcia
stanotte…
POT POOOOT
-
E vabbè daaaai! - faccio il gesto con la mano di
calmarsi a questa signora già incazzata che va a fare la spesa con il suo Suv
già a quest’ora.
-
Non ti preoccupare Blessing, tutto ok
Blessing, fa sì
sì con la testa.
Parcheggio.
Entriamo nel poliambulatorio. Ci guardiamo attorno.
Ovviamente ci
sono già mille persone in attesa, due porte chiuse con divieto di bussare, tre
ambulatori vuoti, personale medico che di sicuro si aggira furtivo alle
macchiette del caffè senza indossare il camice, per non farsi riconoscere.
Agguanto la
prima persona con uno straccio di divisa.
- Scusi,
l’ambulatorio della dottoressa Pruni?
- Mah, ha
provato sù dalle scale?
E’ la donna
delle pulizie.
Scovo una
signora in borghese che sta facendo una fotocopia nel corridoio, così
tradendosi.
-
Scusi, l’ambulatorio della dottoressa Pruni?
-
..la porta in fondo a sinistra - mi dice smarrita,
come una lepre accecata dai fari.
Io e Blessing ci
spostiamo veloci e ci piazziamo sedute di fronte all’ambulatorio. Con noi, già
in attesa, una donna in tailleur, una signora di età indefinita con le zeppe,
un anziano che penso abbia sbagliato postazione.
- Allora
Blessing, hai capito il tipo di esame che andremo a fare oggi?
Blessing, fa sì
sì con la testa, io non ce la faccio a quest'ora della mattina a parlare
inglese, il caffè a casa era finito, non
mi posso distrarre un attimo che la casa crolla a pezzi! Così
le sorrido, accendo il cellulare e comincio una partita a Tetris.
-
Uè ciao Tina! Ciao, io mi chiamo Aisha, - La mediatrice interculturale
dell'ospedale irrompe come un vento di primavera, stringendo la mano a Blessing
e dandomi una manata affettuosa sulla spalla.
Ha sneakers rosa
confetto, camicione bianco ricamato su pantacollant grigi, orecchini, trucco
leggero, borsa ultima moda griffata, la pelle così mulatta e profumata da
sembrare spalmata di Nutella, sorriso Durbans.
Io
e Blessing la guardiamo da sotto in sù e ne rimaniamo ammirate.
Io porto un pantalone nero elasticizzato, dolcevita verde di cachemire e stivaletti neri Miu Miu che
or ora mi accorgo essere completamente coperti di fango già secco. Chissà da
quanti giorni si trovano in questo stato. Tiro fuori dalla mia borsa Piquadro
alcuni fazzolettini e cerco di pulire senza dare troppo nell’occhio.
Blessing
ha lo smalto rosso con i brillantini sulle unghie dei piedi e delle mani,
infradito con le paillettes nonostante
il continuo freddo, un cappello di lana infeltrita in testa.
Non ha nessuna borsa a contenere la sua identità.
Attese.
Ogni
volta che l’infermiera esce dalla porta, viene placcata dalla signora in tailleur
“mi scusi un attimino, dovrei solo dire
una cosina..”
Attese.
La
signora con le zeppe sbuffa rumorosamente e le sta colando l’ombretto azzurro
dall’occhio sinistro.
Attese.
Il
signore anziano ancora non ha capito che lì sta facendo l’anticamera per una
visita ginecologica.
All’improvviso
arriva a passo svelto un uomo, diciamo piacente, capello col ciuffo brizzolato
tipo Ridge, giacca e pantaloni abbinati, l’immancabile valigetta.
TOC TOC
Cazzo,
l’informatore scientifico.
Manco ci guarda
in faccia, lui, mentre entra per primo.
Dopo Ridge ed
altri tempi interminabili entriamo noi tre. Non ci sono abbastanza sedie così
mi appoggio al termosifone.
La dottoressa fa le prime domande sullo
stato di salute della ragazza. Aisha traduce, Blessing risponde. L’infermiera
occhialuta che occupa inutilmente l’ultima sedia rimasta, cerca di usare il
p.c. per trascrivere i dati.
- Malattie?
Gravidanze? Pruriti? Perdite bianche? Perdite rosse? Uso di medicinali?
Blessing fa no
no con la testa, Aisha fa no no con la testa . Anch’io, appoggiata ora al muro
con un mal di testa della madonna, faccio no no con la testa. Dio, da quanto tempo non faccio un check-up completo a
me e alla mia famiglia? Devo ricordarmi di passare dal mio medico di fiducia e
programmare il prossimo tagliando familiare…
Comincia la
visita. Dopo un prelievo di sangue Blessing e la dottoressa spariscono dietro
ad un separè, io e Aisha cerchiamo qualcosa di interessante da osservare
nell’ambulatorio, oltre ai soliti porta-chiavi a forma di scatole di pillole
anticoncezionali.
Ciao ciao ciao.
Blessing e Aisha si abbracciano per salutarsi.
Blessing esce
con la sua cartellina verde,
nuova nuova, dove mettere
tutti i suoi esami. Vedo che ha preso anche il porta-chiavi mostruoso. Sembra
contenta di tutti questi gadgets.
Ci infiliamo in auto e ci tuffiamo nel traffico congestionato della città.
POT POOOOOT
Mi infilo in una
strada, sono ferma al semaforo. Vedo Blessing che mi guarda in faccia per la
prima volta, imbarazzata.
-
Dimmi Blessing, hai qualche domanda? Tell me, tell... - dico mentre
ingrano, grattando, la prima.
-
Sì, …secondo me tu non devi stare da questa parte di strada, poi arrivano
macchine addosso a noi…
Faccio sì sì con
la testa, ingrano la retromarcia. Metto
un po' di musica in auto, per spezzare il silenzio e, dolcemente, mi infilo in
un altro controsenso. Ma checazzo qua fanno i
lavori e non dicono niente!
Mentre
continuo a guidare imbucando tutti i sensi unici, frugo
confusamente nella borsa gettata sul cruscotto della macchina, sporco lurido di
succo di frutta rovesciatosi due anni fa, e ora incatramato alla carrozzeria
della macchina. Blessing mi guarda disgustata.
- Blessing – dico in preda all’ansia – please, cercami le sigarette nella
borsa, dovrebbe essercene una nella tasca interna.
Blessing mi guarda imbarazzata.
- The cigarettes…
smoke!!! – e faccio il gesto con le mani, da vera terrona, mentre continuo
a guidare. Vabbè dai, penso per consolarmi, questa sarà l’ultima!
Blessing si tuffa nella mia borsa come se fosse ad una
bancarella al mercato e alla fine mi porge una sigaretta tutta schiacciata.
Questi sono i momenti in cui capisco che non smetterò mai di fumare.
Arriviamo finalmente in ufficio. Scendiamo dall'auto.
Vedo che Blessing mi guarda intensamente negli occhi.
- Tutto a posto
Blessing,? Eh, lo so che queste visite sono un po' fastidiose...
Blessing, fa sì
sì con la testa e si inginocchia prendendomi le mani.
- Dai Blessing, please - e mentre tento di sollevarla da terra,
cerco di frenare con il mio cinismo e con il fumo il mare di lacrime che mi
sale agli occhi.
Tiro la prima boccata e sento,
per la prima volta, scricchiolare qualcosa al mio interno. Ma dove sto andando?
Mi chiedo a bassa voce mentre il mare agitato di Lampedusa mi si infrange sulla
schiena. Spero solo di ricordarmi come si fa a nuotare.